Le clausole risolutive espresse.

Abbiamo avuto modo in passato di affrontare l’annosa questione della predisposizione, nell’ambito dei mandati di agenzia, di clausole predisposte ad hoc dalle mandanti che prevedono l’obbligo in capo all’agente di raggiungere determinati volumi di vendita. Stiamo parlando dei famigerati “target”, “budget” o “mini di vendita”.
In passato la giurisprudenza, peraltro, era pressochè univoca nel ritenere che l’unico rimedio a favore dell’agente che volesse invocare la nullità della clausola, fosse la facoltà di dimostrare davanti al Giudice l’oggettiva impossibilità di raggiungere il target e, quindi, l’inapplicabilità della clausola e l’illegittimità del relativo recesso.
Ciò , in realtà salvo casi eclatanti, è sempre stato piuttosto difficile. L’agente, infatti, in dette circostanze ha l’onere di provare che il minimo di fatturato predeterminato dalla mandante fosse – al momento della sottoscrizione del mandato e/o della clausola – impossibile da raggiungere o che, comunque lo stesso target non sia stato raggiunto per cause non dipendenti dalla sua volontà. Queste cause – oggettive e concrete – devono essere tali da creare l’impossibilità per l’agente di raggiungere quel minimo di fatturato previsto, ma fatto ancor più importante, dovrà essere dimostrato, in sede di giudizio, il nesso causale (ovvero la consequenzialità) tra la causa che ha impedito il raggiungimento del budget ed il relativo risultato.
Recentemente la situazione è cambiata ed a seguito di una abbastanza recente ed innovativa pronuncia della Corte di Cassazione (la n.10934/2011), il “vento ha iniziato a girare”.
Se prima, infatti, era comunque preclusa al Giudice ogni valutazione indagine sull’entità dell’inadempimento rispetto all’interesse dell’altra parte, dovendo(si) solamente accertare se lo stesso sia o meno imputabile al soggetto obbligato” , adesso i Magistrati possono ed anzi debbono, su sollecitazione dell’agente, operare una esame più “approfondito” sulla pattuizione contrattuale il cui mancato rispetto ha comportato una disdetta.
Sostanzialmente la Corte ha espresso un principio (peraltro poi ripreso da altre pronunce di legittimità e di merito) secondo il quale il Giudice di merito (ovvero quello di primo grado) non deve più “limitarsi” a verificare l’esistenza della clausola risolutiva espressa e gli eventuali rilievi in ordine all’eventuale irraggiungibilità del target, dovendosi invece spingere sino ad effettuare una vera e propria valutazione sul contenuto della clausola, fino a verificare che l’inadempimento contestato all’agente per il mancato rispetto della clausola sia talmente grave da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto.
A questo non consegue, ovviamente, che tutte le clausole contenenti minimi di fatturato e target di vendita e che vincolano il mancato raggiungimento del target alla prosecuzione del rapporto, siano di per se illegittime, ma la citata pronuncia apre la porta a valutazioni concrete su singoli casi e permette di minare quelle solidità e certezze che avevano le mandanti in presenza di tali clausole risolutive espresse.
Ora è possibile infatti operare una vera e propria indagine sulla singola clausola anche verificando i comportamenti della mandante (rispetto alla previsione della stessa clausola) nei singoli casi concreti.
E’ il caso di mandanti che del tutto arbitrariamente ed “inaspettatamente” recedano dal mandato applicando la clausola magari dopo anni di mancato rispetto del target da parte dell’agente o magari dopo aver manifestato apertamente e chiaramente l’intenzione di proseguire nel rapporto.
Ogni caso (ed ogni clausola) dovrà essere quindi verificata, valutata ed analizzata caso per caso e con molta attenzione, contestualizzando la stessa nell’ambito del singolo rapporto rispetto al comportamento della parti.
Avv. Andrea Mortara
Centro Giuridico Nazionale Usarci